Articolo | “LE POTENZIALITA’ DEI SOCIAL NELLA SELEZIONE DEI CANDIDATI: Come cambiano i processi di recruiting”

Le potenzialità dei social nella selezione dei candidati: come cambiano i processi di recruiting | Riccardo Giorgio Zuffo, AD e Direttore scientifico di Telema

Uscito su Digital4 il 21 novembre 2019 e su Costozero il 14 febbraio 2020

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LinkedIn, Facebook, Whatsapp e Instagram stanno rivoluzionando alcune regole del rapporto tra la domanda e l’offerta di lavoro, mostrando come i social abbiano grandi potenzialità nei processi di selezione.

Comunque, gli effetti all’interno delle aziende si riflettono non solo sul recruiting, sul ruolo del management e, quando esiste, sul dipartimento delle HR.

Riprendiamo alcuni concetti espressi nella prefazione del volume “Talent and Executive Search: il Processo di Selezione”, relativamente ai social. La diffusione di smartphone, il basso investimento necessario per la creazione delle app e l’attitudine delle persone a rimanere sempre connesse, sono gli elementi che Larry Downes, ricercatore all’Università del Michigan, e Paul F. Nunes del centro di ricerca di Accenture indicano come principali responsabili del fenomeno della Big-Bang disruption. Un cambiamento, quello teorizzato, che può pervadere qualsiasi attività, richiedendone una riorganizzazione, alla luce delle potenzialità offerte dalle tecnologie digitali.

Pensando al mondo dei social, è indiscutibile che abbiano rimodulato alcune dinamiche operative delle organizzazioni rispetto ai mercati del lavoro di riferimento, velocizzando i processi di selezione. I ricercatori americani Anne Marie Ryan e Robert Ployhart fissano questo turning point nel 2008, anno in cui l’uso della tecnologia ha registrato una inequivocabile nuova tendenza, che ha definitivamente cambiato le regole della selezione in azienda.

Da allora, le potenzialità di selezione dei social, che estendono l’offerta di profili, continuano a crescere e superano ormai qualunque logica di mercato, geografica, e di posizionamento di settore. Pensiamo ad esempio alle aziende dell’hi-tech, del fashion, dell’automotive: agiscono con un reclutamento e una comunicazione “global” ampia, ma anche con un localismo e una profondità inequivocabile. Per molte multinazionali è comune, ormai, definire policy che prevedono un reclutamento gestito quasi esclusivamente con LinkedIn, attraverso un contratto di Gruppo, che ne ottimizzi i costi a livello worldwide. Se tutto ciò prima valeva per i player più preparati e organizzati, ormai la caduta delle barriere di accesso tecnologico, la permeabilità culturale e le sfrenate logiche di contenimento dei costi (…costi quel che costi!), permettono anche a realtà organizzative di piccole o medie dimensioni di essere presenti e di operare in qualunque mercato.

È ormai noto in letteratura che, come mostrano Chiang e Suen, ricercatori del Department of Management Information Systems e della National University di Taiwani social offrono potenzialità nuove di selezione perché innescano meccanismi sia attivi sia passivi, sia verso sia dai candidati. Il selezionatore in questi casi può assumere un ruolo più attivo: non è vincolato alle risposte ai propri annunci, ma avrà la possibilità di agire direttamente per contattare i segmenti di mercato di diretto interesse.

La diffusione dei social porta con sé tre implicazioni fondamentali. In primo luogo, attraverso i social l’azienda recluta direttamente a tutti i livelli organizzativi e ricorre a intermediazioni solo per ragioni specifiche di riservatezza e/o di scarsità delle professionalità cercate. Una seconda implicazione è indotta dal cambiamento avvenuto con LinkedIn, quale vero attuale player del mercato, e di come questo primato potrebbe progressivamente essere eroso o riconfigurato dal sistema Facebook-Instagram-WhatsApp che potrebbe aprire ad una ancora più ampia generalità dell’offerta. Un terzo aspetto che si sta delineando è la disarticolazione della domanda: capita sempre più spesso che siano le stesse funzioni aziendali a ricercare direttamente le figure di cui hanno bisogno.

L’ascesa dei social tra gli strumenti di recruiting in alcuni casi rischia di far perdere all’HR i connotati di owner del “processo di selezione” in chiave diagnostica per diventare un “passacarte” della intraprendenza interna ed esterna al sistema. Le specificità locali e la possibilità di utilizzare modalità differenti fanno sì che il processo di selezione assuma una minore standardizzazione per lasciare il posto a modelli e a sistemi di relazioni diversi, complessi, articolati, non tutti visibili e diretti ma anche polivalenti, ambigui, trasversali e variamente funzionali al fine.

Infine, un ulteriore aspetto di interesse ancor più strategico ha come base la relazione tra persone e azienda. Lori Thompson, una ricercatrice del North Carolina University, parla di signaling theory secondo cui ogni punto di contatto tra il candidato e l’organizzazione viene utilizzato come segnale. È ormai assunto sul piano tecnico che una progettazione accurata del sito, relativamente alla qualità delle informazioni fornite, l’usabilità, così come l’aspetto estetico siano elementi importanti per aumentare i livelli di attrattività e riconoscibilità. Quello che diventa fondamentale è però riuscire a comunicare all’esterno i veri e profondi valori aziendali. Il sito diventa dunque un ologramma del contesto di lavoro; le prime impressioni influenzeranno le decisioni di candidarsi o meno e/o di proseguire nell’iter di selezione: le aziende con una presenza online coinvolgente, attiva, realistica, limpida e onesta risulteranno più attrattive rispetto a quelle caratterizzate da una presenza stereotipata conformista e scontata. Segno di queste nuove complessità è il fatto che circa la metà delle aziende italiane sta investendo molto nell’Employer Branding e puntando sulle iniziative di formazione e sviluppo digitali. Nonostante l’evidente attenzione per lo “storytelling” digitale e le cospicue spese che le aziende affrontano per rimanere sempre aggiornate è evidente come, ancora oggi, molte fatichino ad avere una comunicazione distintiva e di qualità. Da un’analisi di siti appartenenti ad aziende e società global e/o a contesti di ampie dimensioni emerge infatti come la comunicazione sia caratterizzata da livelli di stereotipia, conformismo e ripetizione sistematica che risultano inutili, banali e poco orientati a fini strategici di posizionamento per coloro i quali si vuole essere attrattivi e vincenti.